martedì 23 aprile 2024

Marta Volontè

     francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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NIHIL OMNIUM (2018)


















lunedì 22 aprile 2024

Proferio Grossi

    francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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Natura Morta


Gli anni dell'astrattismo

Proferio Grossi nasce il 1º marzo 1923 a Vignale di Traversetolo, paese della collina parmense, e dopo gli studi classici a Parma si trasferisce a Milano, dove frequenta per poco tempo l'Università commerciale Luigi Bocconi e poi si iscrive all'Accademia di Brera. Qui diventa l'allievo prediletto di Atanasio Soldati, suo concittadino e caposcuola dell'Astrattismo geometrico. Nel 1948 aderisce al MAC (Movimento Arte Concreta) e nel 1952 a San Mariono 1° Premio Citta di San Marino con l'opoera " L'anguria e il ontadino" 1954 allestisce la sua prima personale nello Studio B 24 a Milano, dove poi nel 1957 organizza la 1ª Rassegna Arte Concreta alla Galleria Schettini.

L'approdo alle nature morte

Negli anni successivi Proferio Grossi conquista un meritato successo con l'adozione di una pittura d'oggetti, in un discorso estetico che porta avanti fino agli ultimi giorni della sua vita, alternandolo al filone astratto, sperimentando tecniche e soluzioni originali, in una dialettica convivenza di momenti espressivi, sostenuti da una matrice ispirativa unitaria. A rendere unica e straordinaria la sua pittura è l'atmosfera ritmica, musicale, che caratterizza astratto e figurativo: come se una persona raccontasse una stessa storia in due lingue parallele.

Le mostre, gli incarichi e i premi

Numerose sono le mostre personali, di gruppo e antologiche tenute da Proferio Grossi in gallerie italiane e straniere, da quella alla Camattini di Parma nel 1960 all'ultima del settembre 2000 a Suzzara. Per i suoi meriti artistici viene nominato membro dell'Accademia di Belle Arti di Parma e di altre qualificate accademie, fra cui la Arts Sciences Lettres di Parigi. Di lui scrivono autorevoli critici su giornali, riviste e prestigiose pubblicazioni d'arte: è tra gli artisti invitati nel 1986 a realizzare un'opera per la celebrazione del 6º Centenario della Fondazione del Duomo di Milano.

Grossi è presidente dell'Associazione Parmense Artisti per una decina d'anni, sin dalla fondazione nel 1980. Tra i vari riconoscimenti in quasi sessant'anni di attività pittorica, riceve nel 1992 il premio europeo Lorenzo il Magnifico dell'Accademia Internazionale Medicea di Firenze nel 1952 a S. Martino, Noceto vince il primo premio con il Dipinto l'anguria e il contadino 1994 il premio Felce a Bologna. Illustra copertine di riviste e vari libri, tra cui Fantasmi e leggende dei castelli parmensi di Tiziano MarcheselliPer Anna di Vincenzo Buonassisi e Verdi, il monumento ritrovato, con mostre dei 28 grandi dipinti di quest'ultimo libro al Ridotto del Teatro Regio di Parma, nel Castello di San Secondo Parmense e a Busseto.









martedì 19 marzo 2024

Pompeo Borra

    francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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Paesaggio, 1934-1936

Pompeo Borra nasce a Milano nel 1898. All'età di nove anni rimane orfano del padre, Cesare. Inizia degli studi tecnici, ma poi decide di intraprendere la carriera artistica iscrivendosi all'Accademia di Belle Arti di Brera.
Nel 1916 prende parte, come volontario, alla Prima Guerra Mondiale. Alla fine del conflitto si dedica alla pittura in un piccolo studio in via dell'Annunciata, in riva al Naviglio milanese che a quel tempo era ancora scoperto, dove rimarrà fino al 1938.



Frequenta il sodalizio della Famiglia artistica Milanese presso la quale tiene la sua prima mostra nel 1920.
Nel 1924 partecipa alla XIV Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia (parteciperà poi, come invitato, alla Biennale di Venezia nel '30, '32, '34, '36, '50, '52 e '56).

Negli stessi anni conosce il gruppo degli artisti fondatori del movimento di Novecento iniziando a prendere parte alle mostre.
I suoi dipinti suscitano l'interesse di Franz Roh, il famoso teorico del Realismo magico e della Nuova oggettività tedesca, che lo invita alla mostra di arte italiana al Kunstverein di Lipsia nel 1928.

La sua pittura di severo purismo, collocata tra il Realismo magico e la Pittura metafisica, propone immagini squadrate e volumi compatti che rievocano la pittura quattrocentista, situazioni bloccate e silenziose abitate da oggetti quotidiani e personaggi trasognati e immobili, per lo più femminili.

In questo decennio collabora con la Galleria del Milione, recandosi spesso a Parigi dove stringe amicizia con Léonce Rosenberg direttore della galleria L'effort moderne. Evolve le sue scelte cromatiche verso tonalità trasparenti e più luminose, fino ad attraversare anche una stagione astratta.

Negli anni 1949-1950, partecipa alla costituzione dell'importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, con un autoritratto, Compagni di lavoro; la Collezione oggi è conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì.


Nella pittura degli anni cinquanta/sessanta Pompeo Borra abbandona i volumi solidi e monumentali dei lavori precedenti, realizzando opere in cui anticipa tematiche che sono tornate attuali dopo la sua scomparsa ed hanno avuto maggiore riscontro critico negli anni ottanta con il termine "postmoderno". La bidimensionalità, l'accesa cromia e l'estrema sintesi delle figure, sempre immerse in un'atmosfera di sospensione metafisica, saranno gli stilemi connotativi delle sue opere tarde.

Nel secondo dopoguerra si dedica anche all'insegnamento come docente di pittura all'Accademia di Brera, della quale è direttore dal 1970 al 1972.

Si spegne a Milano nel 1973, e viene sepolto nella tomba familiare permanente al Cimitero Maggiore.












sabato 17 febbraio 2024

Cesare Peverelli

   francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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                                            Incursione 1971

Nacque a Milano il 30 maggio 1922 da Cesare e Maria Cepparo, ultimo di sette figli. Frequentò il ginnasio a Torino ma a causa della tubercolosi interruppe gli studi. Rientrato a Milano nel 1938, nel 1939 studiò presso Aldo Carpi e all’Accademia di Brera fu allievo di Achille Funi e Carlo Carrà. Attraverso Ennio Morlotti entrò in contatto con il gruppo di Corrente, preferendo però all’accensione cromatica del neo-cubismo il tonalismo di Giorgio Morandi, come testimoniano le prime nature morte realizzate nel 1941 (coll. priv., ripr. in Gualdoni et al., 1996, p. 21) con i proventi del premio Jucker. Nello stesso anno Paolo Grassi, fondatore del gruppo di teatro sperimentale Palcoscenico e direttore della sala Sammartini di palazzo Serbelloni, gli affidò le scene per lo spettacolo Il cammino di Beniamino Joppolo diretto da Giorgio Strehler. D’impianto cubista era invece la natura morta inviata nel 1942 al IV Premio Bergamo, dove Peverelli conobbe Renato Guttuso, che lo ospitò a Roma. Tornato a Milano, realizzò otto tempere (Composizione, 1943, Milano, coll. Magliano, ripr. in Russoli et al., 1972, figg. 8-9) ispirate al dipinto di Pablo Picasso Guernica (1937) che, presentate nel 1944 alla galleria del Milione, preannunziarono il suo coinvolgimento nella Resistenza. Nel 1944 fu ricoverato in sanatorio a Clusone (1944). Nel 1945 partecipò alla Mostra della Liberazione di Milano e Genova con un dipinto sui Disastri della guerra (E. Tadini, P. pittore curioso, in Settimo giorno, Milano, 24 apr. 1958, p. 51) memore di Francisco Goya; nello stesso anno prese parte all’occupazione insieme al Fronte della gioventù della casa dell’Opera nazionale Balilla a Milano. Si legò quindi alla rivista Argine Numero e fu nel 1946 tra i firmatari del manifesto Oltre Guernica, nonostante gli interessi per la psicoanalisi e per il lavoro di Marcel Duchamp (conosciuto attraverso Corrado Cagli) maturassero in lui una presa di distanza dal cubo-realismo. Nel 1947, alla mostra Arte italiana d’oggi. Premio Torino, ottenne il premio Grosso con La madre (1946, Milano, Casa Museo Boschi-Di Stefano), conobbe Cesare Pavese e iniziò a collaborare con la casa editrice Einaudi, realizzando le acqueforti per La vita di Cola di Rienzo di Anonimo romano (dieci rami incisi all’acquaforte, s.a., Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi) e la copertina de La nausea di Jean Paul Sartre (1948).

Alla ricerca di una pittura engagé ma non succube di ideologie, fu tra i fondatori nel 1946 della rivista Numero Pittura (La piccola Brera, nn. 2-3, ripr. in Gualdoni, 2002, pp. 99 s.) e con Roberto Crippa aprì la galleria Pittura, dove nel 1949 tenne una personale accompagnata da una poesia di Aimé Césaire tradotta da Salvatore Quasimodo. La lettura di Freud e lo studio dell’etnologia lo avvicinarono alla poetica surrealista nel suo versante biomorfo e di automatismo psichico, che però non trovò espressione pittorica compiuta né alla XXIV Biennale di Venezia del 1948 (Ritratto, 1943, Natura mortaPaesaggio, 1948) né nell’edizione del 1950 dove, sulla scorta di Wols, Peverelli tentò suggestioni organiche (Abbraccio), in lui suffragate dalla prima personale europea di Jackson Pollock al Museo Correr di Venezia (Dripping, 1950, coll. priv., ripr. in Il movimento spaziale, 1999, p. 54). L’approdo all’Informale fu ratificato dalla sottoscrizione del IV, V e VI Manifesto del movimento spaziale (1951-52), dalla conferenza Realtà non realtà da lui tenuta nel 1952 alla galleria del Cavallino di Venezia (pubbl. con il titolo Silenzio e critica, in Minosse, IV, [1952], 32, s.p.) e dalla partecipazione alla prima collettiva di arte spaziale alla galleria del Naviglio con opere gestuali e polimateriche caratterizzate da un segno vigoroso che guardava a Georges Mathieu (La conquista spaziale, 1951, ripr. in Il movimento spaziale, 1999, p. 52; Polimaterico, Milano, Casa Museo Boschi-Di Stefano). L’adesione allo spazialismo corrispose al rifiuto di ogni idea di bella pittura, traghettando l’artista nell’alveo surrealista e nucleare, di cui si sarebbe fatto propugnatore Arturo Schwarz. Data infatti al 1953 la mostra di arte surrealista da lui organizzata con il gallerista Alexandre Jolas presso l’Associazione Amici della Francia a Milano. Dal sodalizio con Crippa e Gianni Dova scaturì la partecipazione alla X Triennale di Milano del 1954 (si ricordano: tessuto stampato; piatto e vaso in rame; bozzetto per cancello in ferro disegnato con Guido Somaré) incentrata sulla collaborazione tra avanguardia e artigianato come l’edizione del 1957, dove l’artista espose una spilla nella Mostra del gioiello allestita da Arnaldo e Giò Pomodoro nell’ambito di questa stessa manifestazione.

I segni automatici della sua pittura si organizzarono in un microcosmo dilatato, come testimoniano i dipinti Insetto (1954, Milano, Casa Museo Boschi-Di Stefano) e Laggiù nel sole con frigidi fili… (Milano, coll. priv., ripr. in Gualdoni et al., 1996, p. 54), improntando la personale del 1954 alla galleria del Naviglio, in cui l’omaggio a Dylan Thomas anticipava una ricerca visionaria intrisa di sollecitazioni letterarie e musicali. Interessi del resto condivisi dall’ambiente familiare dell’artista: dalla passione paterna per la lirica alla carriera della cugina Luciana Peverelli nella narrativa sentimentale. Seguendo i suggerimenti di Marx Ernst e Victor Brauner, approfondì l’esercizio dell’immaginazione, trasformando i suoi insetti in veri e propri personaggi in Maintenant nous jouons avec (1957, Parigi, coll. Laplatre, ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 21), dipinto ispirato al cinema di Charlie Chaplin e Jean Clair e presentato nel 1957 alla galleria du Dragon di Max Clarac-Sérou a Parigi. La personale coincise con il trasferimento dell’artista nella capitale francese, dove avviò, con i Salon de Mai – rassegna annuale creata nel 1945 dall’omonimo gruppo artistico francese – un’intensa attività espositiva internazionale e iniziò una collaborazione editoriale con i maggiori scrittori francesi.

Nel clima del nouveau roman intuì una narratività possibile attraverso l’enucleazione di temi in cicli compiuti di opere, che ritornano anche a distanza di tempo mescolandosi tra loro. Nella casa di Édouard Glissant a Montmartre nacquero nel 1958 i cicli pittorici La città (Parigi, coll. Kaplan, ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 23) e Coppia sulla città (coll. priv., ripr. ibid., fig. 26). Il 1959 vide l’uscita della prima monografia sull’artista firmata da Emilio Tadini e Jean Selz e la partecipazione all’VIII Quadriennale nazionale d’arte di Roma (1959) nonché alla collettiva The new generation in Italian art, curata da Francesco Arcangeli, Giulio Carlo Argan e Marco Valsecchi alla galleria Odyssia di Roma (1960). In entrambe Peverelli espose opere del ciclo Coscienza della storia-nascita, caratterizzate dall’accostamento di più immagini sulla medesima superficie. Questa ricerca fu sviluppata nelle otto tele di La dimora, concepite come una sorta di work in progress, che nel 1960 andò a comporre la sala personale dell’artista presentata da Alain Jouffroy alla XXX Biennale di Venezia (1960), per poi combinarsi insieme nel dipinto La grande dimora (Torino, Galleria d’arte moderna). Contemporaneamente, Enrico Crispolti, Roberto Sanesi, Tadini e Arcangeli includevano Peverelli in collettive volte a tratteggiare una pittura di nuovo racconto esistenziale (Possibilità di relazione, galleria L’Attico, Roma 1960; Nuove prospettive della pittura italiana, Palazzo di Re Enzo, Bologna 1962 e Alternative attuali, Castello Spagnolo, L’Aquila 1962).

Grazie a Patrick Waldberg nel 1963 iniziò a soggiornare a Seillans (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), dove si erano stabiliti anche Dorothea Tanning e Max Ernst. Da qui la frequentazione di Tristan Tzara e la presenza nella collettiva Surrealismus. Phantastische Malerei der Gegenwart alla Künstlerhaus di Vienna (1962) o la collaborazione al volume Variations sur l’imaginaire (Paris 1972) con una litografia. Dopo il ciclo Gabbiani (ripr. in Russoli et. al., 1972, figg. 38-42), nato nel soggiorno in Bretagna del 1960 e incentrato sul tema della sospensione, fu la volta di Paradisier (Varese, Castello di Masnago) concepito a Panarea nel 1962 e ispirato al cerimoniale amoroso degli uccelli del paradiso. Palcoscenici metafisici tra realtà e sogno, i dipinti Le stanze (1962, ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 46) e i Labirinti (1963-64, ripr. ibid., fig. 59) ispirarono le incisioni per il poema di Raffaele Carrieri Le stanze oscure (Milano 1965), frutto della collaborazione con lo stampatore Giorgio Upiglio, analogamente a Guardare vedere (1964, nove tavole incise ad acquaforte, acquatinta, puntasecca, bulino) e Petite suite en blanc majeur (1966, nove tavole incise ad acquaforte e bulino). Paesaggi dell’anima insieme delicati e dannati sono anche le opere del ciclo Crisalidi dai filamentosi grafismi (1964-69, Milano, Museo della Permanente), che rappresentarono l’artista alla IX Quadriennale di Roma del 1965. Due dipinti-cardine per la sua ricerca matura apparvero nella mostra Pittura a Milano dal 1945 al 1964 organizzata da Raffaele De Grada in Palazzo Reale nel 1964: Le radeau de la Méduse (1963, coll. priv., ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 57), d’après il noto dipinto di Theodore Géricault, e una prima idea per L’atelier (1963), che annunciava il recupero di una figurazione consapevole della dimensione storica della modernità. 

Nel 1965 espose all’VIII Biennale di San Paolo del Brasile e soggiornò a New York, dove avviò il ciclo Campo di vetro (ripr. in Russoli et al., 1972, figg. 82-85), cui seguirono gli imbuti prospettici dei Campi di canne (ripr. ibid., figg. 89-92) ispirati alla natura di Cuba, visitata dall’artista nel 1966. Datano al 1967 la cartella di litografie Promenoir du ciel (Milano 1967) con un testo di Waldberg e il testo Les arts primitifs per il catalogo della mostra Arts primitifs dans les ateliers d’artistes al Musée de l’homme di Parigi. La personale a La Nuova Pesa di Roma del 1968 fu presentata, tra gli altri, da un testo di Jean Laude tratto da Les plages de Thulé, a sottolineare l’emergere dalla sua pittura di tenebra di un disegno di luce memore di Tintoretto.

Nel 1969 soggiornò a Torri del Benaco (Verona) e nella fonderia di Miguel Ortiz Berrocal a Verona realizzò sette sculture in bronzo (coll. priv., ripr. in Russoli et al., 1972, figg. 109-115), che Giovanni Arpino presentò alla galleria Borgogna di Milano, insistendo sulla valenza poetica del ‘gesto’.

Gli studi dall’antico e la pratica della citazione, rispondenti a una ricerca del fantastico nella struttura stessa del linguaggio, sono alla base sia del ciclo Il mio giardino alla Rousseau (1970) dedicato al Doganiere, che chiudeva nel 1972 l’antologica allestita nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, sia del dipinto L’incedie du steamer Austria esposto da Giuseppe Gastaldelli a Milano nel 1973, ispirato all’omonimo quadro di Jean-Baptiste Isabey. Intercettarono tale ricerca le collettive D’après: omaggi e dissacrazioni nell’arte contemporanea, che si aprì a Lugano nel 1971 (Le radeau de la Méduse) e Omaggio all’Ariosto ospitata nel 1974 in Palazzo dei Diamanti a Ferrara, dove Peverelli espose Hommage à Cranach (1973): reinterpretazione della Venere del Louvre. Se le opere tratte dai cicli Nascita e Storia a due tempi, esposte nella sezione ‘Nuove ricerche d’immagine’ della X Quadriennale di Roma (1975), sviluppavano gli intendimenti narrativi di Peverelli, L’atelier de l’artiste (1964-65) riproponeva il tema courbetiano componendo i motivi iconografici di venti anni di lavoro in un’unica composizione spaziale, attorno alla quale costruì la personale del 1976 al Musée d’art moderne de la Ville de Paris. Il catalogo, che comprendeva testi di Italo Calvino e Jean Louis Lassaigne e un’intervista all’artista di Paul Restany, esplicitava l’intenso dialogo intessuto da Peverelli con la letteratura.

Con lo scrittore Michel Butor Peverelli ebbe un lungo sodalizio: dal volume ‘a quattro mani’ Répertoire 1 (Paris 1972) alle illustrazioni per Les sept femmes de Gilbert le Mauvais: autreheptaèdre (Paris 1972) o alle dodici acqueforti e i quaranta disegni di Le rêve de l’ombre (Paris 1976), i disegni preparatori delle quali figurarono nel 1976 alla parigina galleria Lucie Weill; dalle illustrazioni per l’opera in tre atti di René Koering Elseneur (su libretto di Butor, Paris 1980) alle incisioni di L’office des mouettes pubblicato dalla galleria Editart D. Blanco di Ginevra nel 1984 in occasione di una mostra a due, Butor-Peverelli. Nel ciclo Salomè (1977-88, Pau, Musée des beaux-arts), Peverelli arrivò a mettere in scena una vera e propria historia illustrata moltiplicando i punti focali (La dureé, débat Peverelli-Dufour, in Terzoocchio, IV (1978), 10, pp. 13-15). Trasformò la danzatrice bizantina di Oscar Wilde e quella sacrilega di Richard Strauss in una lunare mantide e il dramma biblico in un sogno di perlacee trasparenze, esponendo il corpus dei disegni preparatori alla milanese galleria Annunziata nel 1979 insieme a un testo esplicativo dell’iconografia religiosa sottesa dall’opera (il ciclo fu esposto nella sua interezza al Musée des beaux-arts di Pau nel 1996 corredato in catalogo dalla corrispondenza tra Butor e Peverelli).

Incentrati, specificamente, sul tema della cerimonia sacra furono i Rituali (1979-80), debitori della pittura di Pieter Jansz Saenredam, sui quali scrissero Jean-Luc Chalumeau e Laude (Bologna 1980). I quattro polittici dipinti a tecnica mista su tela de Le ore e le stagioni (1982, ripr. in Cescon, 2001, fig. 15) traevano invece ispirazione narrativa dal variare della luce delle Cattedrali di Rouen di Claude Monet, con la differenza che quelli dipinti da Peverelli erano paesaggi d’invenzione. Raccontano il mondo affettivo e intellettuale di Peverelli i ritratti (da Luigi Nono a Giuseppe Sinopoli, da François e di Noëlle Châtelet Thalie Frugès) realizzati a partire da fotografie proiettate, che egli espose con l’aiuto di F. Passoni nel 1984 al Circolo della stampa di Milano corredati in catalogo da una riflessione su Paul Valéry e Arnold Schönberg. Già autore delle litografie per la riproposizione in lingua moderna della leggenda del Tristan et Iseut curata da Pierre Dalle Nogare (Parigi 1977), nel 1985 realizzò sul medesimo tema venti dipinti in omaggio a Denis de Rougemont, che presentò alla galleria du Bation di Ginevra, quindi le acqueforti per il poema di Laude État de veille (Paris 1988).

Negli anni Novanta si dedicò al disegno e alla ceramica, realizzando un corpus di opere (Raito, Museo della ceramica vietrense) presso l’Établissements Céramique La Cigale di Michel Ribero, che espose nel 1993 al Musée de la Ceramique di Vallauris Golfe-Juan. L’unico nuovo ciclo fu Arianna abbandonata (1993: ripr. in Gualdoni, 1999, p. 33), che confermava il ruolo centrale giocato dalla riflessione sulla pittura del passato. Dopo aver partecipato alla mostra The artist and the book in twentieth-century Italy al Museum of Modern Art di New York (1993), nel 1996 inaugurò la seconda antologica in Palazzo Reale curata da Flaminio Gualdoni che, in qualità di direttore della sala Veratti dei Musei civici di Varese, organizzò nel 1997 la personale Ritratti e altri disegni volta a indagare il dietro le quinte della sua pittura.

Morì a Parigi il 13 marzo 2000.





domenica 4 febbraio 2024

Piero Marussig

  francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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paese
                                                                paese


                                        attracco


Nacque a Trieste il 16 maggio 1879 da Pietro e da Erminia Dissopra, penultimo di cinque figli, in una famiglia di agiati commercianti, gestori di un emporio di abiti confezionati. Il padre era inoltre un attento collezionista di oggetti d’arte; e il nonno paterno, Piero, un pittore dilettante.

Nell’ambiente romantico e d’impronta letteraria della Trieste di fine secolo, crocevia culturale ed economico verso l’Europa, a partire dal 1887 il M. apprese i primi fondamenti della pittura sotto la guida di E. Scomparini, insegnante di disegno e arti decorative alla scuola industriale della città e attivo pittore e decoratore a Treviso.

La prima produzione artistica del M. è incentrata su ritratti e autoritratti, tra i quali il Ritratto della sorella minore Eugenia (1898), la cui forza psicologica è esaltata dalla semplificazione e dalla resa plastico-luminosa dei piani (collezione privata: P. M...., 2006, p. 96).

Tra il 1899 e il 1901 il M. viaggiò per l’Europa fermandosi alcuni mesi a Vienna e poi a Monaco, dove frequentò l’Accademia fino alla primavera del 1901.

Aderì alla Secessione, stringendo anche un legame di amicizia con uno dei suoi promotori, F. von Uhde, ed entrò in contatto con M. Liebermann, L. Corinth, G. Klimt e F. von Stuck. La conoscenza dei pittori più rappresentativi dell’epoca fu determinante nel fornire al M. una pluralità di stimoli innovativi; tornato a Trieste, approfondì ed elaborò le esperienze vissute stemperando i toni cupi e gravi dello Jugendstil nell’intimismo sintetico dei Nabis, corrente migrata nella cultura monacense dell’epoca (P. M.…, 1986, p. 17).

Nel 1903 sposò Rina Drenik e con lei si stabilì a Roma fino al 1905. A Roma ebbe modo di frequentare gli ambienti divisionisti, di studiare la pittura classica, dimostrando un’autentica predilezione per Tiziano, e di dare avvio, a suo dire, alla propria attività espositiva (P. M.…, 2006, p. 14). Sempre nel 1905 soggiornò brevemente a Venezia (P. M.…, 1986, p. 18) e, in estate, si recò a Parigi, dove rimase per gran parte dell’anno successivo.

Nella capitale francese poté confrontarsi con artisti quali, tra gli altri, P. Cézanne, V. van Gogh, P. Gauguin, G. Seurat e M. Denis ed ebbe probabilmente contatti diretti con H. Matisse (P. M.…, 1972, p. 21). Elaborò allora, attraverso l’apprendimento delle modalità pittoriche dei maestri d’Oltralpe, una propria personale interpretazione del postimpressionismo.

Tornato a Trieste nel 1906, acquistò una vecchia villa padronale con giardino sulla collina di Chiadino.

La villa divenne luogo di ritrovo per parenti e amici, ma, soprattutto, il rifugio in cui isolarsi a meditare e praticare assiduamente la pittura en plein air. Il giardino, infatti, il panorama verso le colline di Muggia e quello dalla terrazza verso la città, furono per il M., nel corso degli anni, fonte d’ispirazione per molti dipinti.


Nel 1906 partecipò a Milano alla mostra organizzata in occasione dell’inaugurazione del traforo del Sempione.

Tra il 1907 e il 1908, terminato il periodo dei viaggi formativi, si dedicò intensamente alla pittura e, sporadicamente, anche all’incisione, mettendo a punto un linguaggio personale di ampio respiro europeo e, allo stesso tempo, intimista e intellettuale, che, in particolar modo nelle figure in atteggiamento rilassato o pensoso, fonde luce e colori postimpressionisti contornati da linee costruttive e nervose di ascendenza secessionista. Con l’inizio degli anni Dieci diviene più ricorrente l’utilizzazione del colore di matrice espressionista.

Nel 1913 partecipò alla II Esposizione nazionale d’arte di Napoli, nella duplice veste di artista e di organizzatore della sala triestina; nel 1914 tenne la propria prima personale alla galleria Cassirer a Berlino.

Scarse sono le notizie relative agli anni della guerra, trascorsi probabilmente dal M. nella sua villa di Trieste, anche se alcune fonti biografiche informano che subì l’internamento in un campo di concentramento (P. M.…, 2006, pp. 18, 235).

Nel 1919, oltre a partecipare alla Quadriennale di Torino, presentò in autunno una mostra antologica alla galleria Vinciana di Milano, dove le ottime recensioni lo spinsero a trasferirsi; lì conobbe e divenne amico di Margherita Grassini Sarfatti e frequentatore assiduo del suo salotto.

Dopo il periodo di isolamento artistico, il M. trovò a Milano un ambiente consono allo sviluppo della sua ricerca pittorica. Divenne amico anche dei molti artisti che avevano esposto con lui, tra i quali C. Carrà, M. Sironi, A. Funi, F. Messina, L. Dudreville e A. Bucci. A Milano erano gli anni dei Valori plastici; e i fondamenti della pittura del M. si svilupparono in una ricerca volta alla plasticità delle figure e all’intensificazione delle ombre. Il suo linguaggio abbandonò i linearismi secessionisti e la frantumazione divisionista per divenire più solido; le figure e gli oggetti, trattati allo stesso modo, si ingrandiscono e perdono di anedotticità acquistando una monumentalità scultorea. In spazi costruiti su geometrie diagonali, dai colori smorzati, tutto appare organizzato in volumetrie schiacciate. È azzerata la gerarchia tra spazio, oggetti e figure e la psicologia di queste ultime non viene più resa con il dettaglio ma con linee e colori che trovano eco negli elementi intorno a esse. Abbandonate dunque le reminiscenze espressioniste, il M. si orientò verso un codice linguistico più strutturato e classico, rafforzato, durante la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1920, dal contatto con alcune opere di Cézanne.

Nello stesso anno il M. partecipò alla mostra organizzata per l’apertura della galleria d’arte diretta da M. Buggelli, insieme con altri artisti tra cui Bucci, Dudreville, Funi, Sironi, A. Martini, Carrà, G. De Chirico, L. Russolo e G. Zanini. L’anno successivo fu presente alla I Biennale romana al palazzo delle Esposizioni con un Vaso di fiori e una Fanciulla che legge (Milano, Galleria civica d’arte moderna). Nel 1922 il M. partecipò nuovamente alla Biennale di Venezia (alle cui successive edizioni espose regolarmente fino al 1936) e intensificò i suoi rapporti con gli artisti milanesi prendendo parte a quella che fu, di fatto, la mostra preambolo al movimento Novecento: la collettiva «VIII Catalogo d’arte» tenutasi alla Bottega di poesia a Milano. Con Bucci, Dudreville, Funi, U. Oppi, E. Malerba, Sironi e Margherita Sarfatti il M. si incontrò regolarmente alla galleria Pesaro allo scopo di fondare un movimento rivolto alla ricerca di una moderna classicità e alla sintesi formale. Nel 1922 egli fu dunque tra i protagonisti della prima mostra di Novecento alla galleria Pesaro.

Essi iniziarono a presentare a rotazione un quadro nella vetrina della galleria impegnandosi a esporre solo insieme o con il parere di tutti gli artisti, anche se, tra il 1923 e il 1926, ci furono alcune defezioni. Nel 1924 il gruppo avrebbe dovuto presentarsi compatto alla Biennale di Venezia, ma Oppi abbandonò il movimento perché gli fu offerta una sala personale. I restanti «Sei pittori del Novecento» si presentarono quindi alla kermesse veneziana commentati da Margherita Sarfatti; il M. espose quattro dipinti tra cui Autunno (Rovereto, Museo d’arte moderna e contemporanea), che rivela una riflessione allegorico-poetica e melanconica sulla natura e la vita umana. Il movimento non ottenne, però, il successo sperato; Bucci, Dudreville e Malerba si dimisero e il gruppo si sciolse per ricostituirsi l’anno seguente con il M. nel comitato direttivo insieme con Margherita Sarfatti. Al nuovo gruppo aderirono Funi, A. Salietti, Sironi, A. Tosi e A. Wildt. L’idea di Margherita Sarfatti e di Funi era di mantenere l’unitarietà del gruppo; tale posizione, che implicava la chiusura verso altri artisti, era appoggiata dal M., ma avversata da Dudreville e da Bucci che, per protesta, si dissociarono durante l’inaugurazione della mostra alla galleria Pesaro del 1926, dove presentarono invece le loro opere con il M., Funi, Sironi, Oppi e Malerba. Per tali divergenze Dudreville definì il M. un «bordone di controcanto», asserendo che si appoggiava a Margherita Sarfatti poiché privo di ambizione (P. M.…, 2006, p. 93).

In effetti il M., fin dagli esordi di Novecento, discostandosi dalla politica imperante, non aderì all’estetica adottata dal fascismo e, conseguentemente, fu escluso dal sistema dei premi e delle esposizioni di regime. In un primo tempo fece parte degli artisti raccomandati da Margherita Sarfatti al senatore F. Gussoni perché fossero da lui stipendiati e partecipò alle esposizioni nella galleria Gussoni aperta dal senatore in via della Croce rossa (divenuta poi galleria Milano); ma alla morte di questo il M., essendo antifascista dichiarato, fu esonerato dall’incarico di fornire mensilmente uno o due quadri dietro compenso.

Di fatto, il M., estremamente colto e raffinato, pur aderendo all’aspetto umanista con il quale il movimento si presentò al pubblico, non accettò neppure la retorica presente nelle proposizioni di Novecento e, nonostante avesse abbandonato in questi anni il tema del paesaggio per dedicarsi alle figure e alle nature morte (soggetti consoni alle indagini del gruppo), il suo discorso artistico conservò una spiccata autonomia, in cui sia i solidi volumi nitidamente definiti e organizzati all’interno di spazi dai piani inclinati sia le figure, che pure grandeggiavano in composizioni dal taglio ristretto, riacquistarono, già dal 1925, una dimensione pittoricistica e, verso la fine del decennio, una colorazione più brillante rispetto ai toni spenti prediletti dai protagonisti del movimento. I dipinti Igea (1924) e Bagnante (1925), entrambi in collezione privata (P. M.…, 2006, pp. 156, 160), sono esempi di figure afferenti al pieno stile monumentale di Novecento, ma riconducibili a uno dei molteplici percorsi del Marussig. Egli, infatti, non coinvolto nelle commissioni pubbliche, non indagò la tecnica dell’affresco sul quale Sironi invitava gli artisti a cimentarsi e continuò invece i suoi studi approfonditi sui problemi interni alla pittura da cavalletto, mantenendo una naturalezza e una libertà d’espressione che spesso difettò agli altri artisti di Novecento. La Venere addormentata del 1926 (collezione privata: P. M.…, 1980, n. 19), per esempio, rivela le meditazioni del M. su analoghe composizioni venete di Giorgione (Giorgio da Castelfranco) e, soprattutto, di Tiziano.

Il M., forse anche per il suo carattere schivo, non fu figura di spicco all’interno del gruppo e restò estraneo alle polemiche che sorsero in seno al movimento verso la fine del decennio, proprio quando si manifestò in lui un rinnovato interesse per il paesaggio, che coincise con i suoi soggiorni sui laghi lombardi, a partire dal 1928, e in Liguria.

Dal 1929 il M. trascorse lunghi mesi a Sturla, sulla costa ligure, in compagnia di Messina, uno dei suoi amici più intimi. Il lago di Iseo (1932: Milano, Galleria civica d’arte moderna) mostra il nuovo indagare delle pennellate libere su oggetti dai forti contorni. Scioltezza pittorica e temi femminili tornarono inoltre ad animare ricerche cominciate durante il periodo triestino.

Nel 1930, con lo scultore T. Borlotti e con Funi, creò una scuola d’arte aperta a tutti e basata, come le antiche botteghe, sui principî della pratica artistica. Dopo questa data il M., seppure meno coinvolto nel sistema espositivo pubblico, continuò a essere presente alle mostre di Novecento, in Italia e all’estero, e a frequentare gli amici più cari come Tosi, Salietti e Messina, ma anche M. Reggiani, Funi e Sironi. Nel 1931, nonostante Margherita Sarfatti fosse nella commissione della I Quadriennale romana, il M. non venne invitato. Partecipò alla XVIII Biennale di Venezia nel 1932 e, nel 1935, furono esposte tre sue opere alla Quadriennale di Roma.

Alla XX Biennale veneziana del 1936 espose Natura morta con fichi e La lettrice (entrambe nelle Civiche Raccolte di Milano). La lettrice, come altre sue figure in interno, anticipò quella pittura sviluppatasi dopo la morte del M. in seno a Corrente (movimento che lo omaggiò inserendo ben quattro opere nella collettiva del gruppo alla Permanente milanese del 1939).

L’amico Reggiani fu il tramite per nuove indagini sull’astrattismo nel contesto della galleria Il milione: il M. partecipò infatti alla mostra «Venti firme» del 1937 (dove esposero artisti che indagavano l’astrattismo accanto a quelli che aderivano al Ritorno all’ordine) e alla rassegna di arte moderna a villa Olmo organizzata a Milano da A. Sartoris.

Ammalatosi di cirrosi epatica, il M. morì, dopo una lunga degenza, a Pavia il 13 ott. 1937.

Fonti e Bibl.: P. M.: periodo triestino (catal.), a cura di G. Marussi, Trieste 1972; M. Lorandi, in R. Bossaglia, Il «Novecento italiano»: storia, documenti, iconografia, Milano 1979, pp. 226-229; P. M., a cura di N. Pallini, Milano 1980; P. M.: una raccolta privata, opere dal 1904 al 1937 (catal.), Milano 1984; P. M.: dalla provincia mitteleuropea al Novecento italiano (catal., Iseo-Trento-Trieste), a cura di G. Mascherpa, Milano 1986; G. Mascherpa, M. ritrovato, in Arte, XVI (1986), 166, pp. 48-53; P. Badellino, in Realismo magico. Pittura e scultura in Italia: 1919-1925 (catal., Verona-Milano), a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Milano 1988, p. 307; P. M.: 1879-1937 (catal.), a cura di F. Rea, Bergamo 1988; P. M. inedito. 200 disegni (catal.), a cura di S. Zatti, Pavia 1988; F. Dogana, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, II, Milano 1992, p. 962; Il «Novecento milanese». Da Sironi ad Arturo Martini (catal.), a cura di E. Pontiggia - N. Colombo - C. Gian Ferrari, Milano 2003, pp. 118-123, 308 s.; E. Pontiggia, Il Novecento italiano, Milano 2003, p. 122; P. M. (1879-1937). Catalogo generale, a cura di N. Colombo - C. Gian Ferrari - E. Pontiggia, Cinisello Balsamo 2006 (con ampia bibl.); N. Cobolli Gigli, P. M.: un aristocratico dello spirito. Storia di un pittore ombroso, che trovò la luce nelle visioni domestiche…, in Arte, XXXVII (2007), 401, pp. 160-162; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 188; L. Servolini, Diz. illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano 1955, p. 504.